Addio a Maurizio Pollini: il genio del pianoforte che ha portato la classica nel cuore del popolo!

Maurizio Pollini è scomparso questa mattina a 82 anni. Ha segnato la vita culturale italiana del secondo Novecento tanto per le sue interpretazioni quanto per la sua militanza politica

Il pianista Maurizio PolliniIl pianista Maurizio Pollini – Ansa

È scomparso oggi all’età di 82 anni Maurizio Pollini, tra i massimi pianisti del Novecento. L’annuncio è stato dato dal Teatro alla Scala. Pubblichiamo l’intervista che Pierachille Dolfini realizzò nel 2014 in occasione della pubblicazione dell’integrale della Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven.

La grinta di quando diede uno scossone alla Società del Quartetto di Milano leggendo un comunicato conto i bombardamenti americani in Vietnam ha lasciato spazio a una pacatezza che, forse, spiazza ancora di più. Perché Maurizio Pollini, a 72 anni, non rinuncia all’impegno civile. E se spiega che «in politica non mi metterei mai» si dice certo «che la politica intesa come interesse per la vita pubblica deve essere tra le priorità di ogni cittadino. In questi giorni ci dicono che se non azzeriamo le emissioni di gas la terra morirà. Come rimanere indifferenti? E poi la guerra. Occorre dire con forza, oggi più che mai, un fermo no a tutte le forme di violenza». Un appello che il pianista lancia con in mano il box nel quale la Deutsche Grammophon ha raccolto l’incisione delle 32 Sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven. «L’impresa di una vita» iniziata negli anni Settanta con la registrazione delle ultime Sonate e conclusasi a giugno di quest’anno. «Quando ascolto le mie incisioni di qualche anno fa lo faccio come se fossero opera di un’altra persona. Con un certo distacco» sorride, spiegando poi che «la ricerca su Beethoven dura tutta la vita, non si esaurisce mai». Un percorso, quello dell’integrale delle Sonate, che non è andato in senso cronologico perché, racconta il musicista, «mi sono sempre gettato a capofitto sulla musica che mi interessava in quel preciso momento, al di là di qualsiasi criterio. Per questo ho iniziato a incidere le ultime Sonate perché erano quelle che negli anni Settanta mi interessavano maggiormente. E ora non escludo di reinciderle ». Con lo stesso spirito perché «quando si suona una musica si è assolutamente giovani. Si deve esserlo. Un musicista può essere anziano d’età, ma quando si siede al pianoforte deve metter da parte l’anagrafe. Altrimenti è finito». Beethoven aiuta «con trentadue capolavori capaci di raccontare l’animo umano. Ci sono sonate più intime e altre che hanno un aspetto sinfonico. Mi immagino Les adieux come un piccolo duetto mentre l’Appassionata come agita da una collettività».

E parlando di collettività il pensiero va ancora alla politica. All’Europa. «La caduta del Muro di Berlino è stata una cosa magnifica, ma poi l’esperienza di apertura di Gorbaciov è finita tristemente lasciando spazio a quella che io considero al “dittatura” di oggi. E anche l’Europa manca di una sufficiente coscienza e attaccamento ai suoi valori». Pollini pensa al fenomeno dei pianisti d’Oriente. «Hanno una tecnica formidabile. Ma quello che è interessante è il fatto che ci sia l’appropriazione della nostra cultura occidentale da parte di un popolo agli antipodi». Cosa che in Italia non sappiamo più fare. «Sono triste per i licenziamenti all’Opera di Roma e trovo deprecabile che Riccardo Muti abbia lasciato l’Italia. Le 14 fondazioni liriche italiane devono essere mantenute e soprattutto fatte funzionare perché sono un servizio culturale e sociale».

Ecco perché, accanto ai dischi, Pollini non rinuncia ai concerti dal vivo. «Per me il contatto con il pubblico significa tantissimo. In studio occorre fare uno sforzo in più, quello di convincersi che quell’esecuzione non finisce lì, ma sarà ascoltata nel tempo da migliaia di persone». Lo dice forte del disco di platino conquistato dai Notturni di Chopin, rimasti per 15 settimane nella classifica pop. E in classifica Pollini vorrebbe portare anche la musica contemporanea. «Vorrei incidere un disco dedicato a Stockhausen» annuncia, convinto che «la musica contemporanea fatica ad essere compresa perché poco eseguita. E questo non solo in Italia. Occorrerebbe cambiare radicalmente la programmazione dei nostri teatri. E fare attività divulgativa. Io lo farei volentieri, ma con quali mezzi? La tv?». Pollini confessa la sua poca dimestichezza con la tecnologia. «Non ho un computer e non navigo su Internet. Comprendo, comunque, che il futuro della classica passa anche da qui, da vendite on line e piattaforme che offrono musica» dice spiegando che, invece, «mio figlio è immerso nella tecnologia».

Proprio Daniele lo dirigerà per la prima volta il 14 e 15 novembre a La Coruna in Spagna. «Suonerò il Quinto concerto di Beethoven». La stessa pagina che la scorsa primavera avrebbe dovuto affrontare a Bologna con Abbado. «È difficile per me parlare di Claudio. Mi manca e non riesco a farmi una ragione della sua assenza. Tutto è avvenuto troppo rapidamente. L’ho visto a dicembre quando aveva affrontato un’importante operazione, provato nel fisico, ma con tanta grinta e desiderio di progettare nuove avventure musicali». Abbado si è spento ritrovando una sua dimensione spirituale. «Io sono un non credente. Le domande sul domani? Mi limito a dire che credo nella scienza» conclude schivo Pollini. E poi si fa silenzioso.

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