Con Conclave potrebbe arrivare la sua prima candidatura all’Oscar, riconoscimento a una carriera, e a una vita, senza eguali.
1979, i rapporti diplomatici tra Cina e Italia si distendono. La Zucca, l’azienda dell’amaro al rabarbaro (slurp!), decide di andare in Cina a girare uno spot, più per la precisione in una regione del Kan-tzu, nel sud della Mongolia dove cresce l’enorme rabarbaro che viene utilizzato per produrre le loro prelibatezze. Come testimonial viene scelta una giovane modella che sogna di fare la giornalista, che non si trucca mai e porta i capelli corti, in quegli anni sposata con un regista italoamericano sulla cresta dell’onda. Il viaggio è un’avventura ai limiti delle terre conosciute, in quelle regioni rurali praticamente nessuno ha mai visto un occidentale, i militari interrompono le riprese scambiando la troupe per inviati russi. ITALIA! PAPA! Niente da fare, non capiscono. PAOLO ROSSI! Campioni del mondo! Allora sì che capiscono! Ma la polizia militare li trascina via lo stesso. Per girare nelle piantagioni di rabarbaro sono scortati a vista, non possono avere contatti con i cinesi autoctoni, la situazione è molto tesa. Quando una folla si accalca per osservare gli stranieri, i militari estraggono le fruste e iniziano a menare i curiosi malcapitati. La giovane modella non ci pensa due volte e si mette a rincorrere un soldato per fermarlo e finisce in una zuffa, li devono dividere a forza. I militari allora la fermano e le chiedono «Questa sera vuole unirsi a noi al paese dei contadini per una proiezione cinematografica?», «Certo, volentieri», risponde lei.
Isabella Rossellini ha sempre vissuto così, senza fare distinzioni, coraggio e incoscienza, pubblico e privato, età adulta e infanzia, vivi e i morti, per lei la vita è un unico grande minestrone. Isabella Rossellini è sopravvissuta alla sua famiglia tutta squinternata (ma meravigliosa), allo star system, alla celebrità, alla bellezza, all’amore. Lo ha fatto con il suo sorriso scheggiato, con la serenità del privilegio e con la beata forza del menefreghismo. Ora si gode le pecore, le capre e gli animali della sua fattoria (seguitela su Instagram). Fin da bambina raccoglie randagi per strada da accudire in camera, vive con cani, gatti, uccelli, maiali, li osserva e impara da loro i ritmi della natura: «Gli animali costringono al confronto con gli aspetti più segreti e oscuri della natura». Quando il cinema non la vuole più lei si laurea in Etologia, studia gli insetti, le lumache, dedica alla loro sessualità una serie di corti sgargianti e pittoreschi (Green Porno) in cui si trasforma in lumaca e in mantide religiosa. Li presenta ai festival, alle cineteche, con la gioia di un’esordiente, con la passione dell’amatrice. Nel suo monologo teatrale Darwin’s Smile parla di etologia e delle sue galline, tema anche di un suo libro del 2018, Le mie galline e io, appunto.
Lei continua a scegliere parti secondarie, personaggi sghembi, marginali solo all’apparenza, nel 2013 prende parte all’angosciante Enemy di Denis Villeneuve a fianco di un doppio Jake Gyllenhaal, nel 2015 doppia (meravigliosamente) un criceto parlante nel coming of age del giovane regista canadese Stephen Dunn, Closet Monster. È con La chimera di Alice Rohrwacher che finalmente la critica, e un nuovo pubblico, sembra accorgersi di lei, della sua grazia attoriale, con parole miste di rispetto e affetto. Il film sembra rispecchiarla a pieno, nella sua poetica escapista in cui il confine tra i mondi – di qua e di là – si assottiglia fino a confondersi. Con Conclave poi, il nuovo film di Edward Berger (Niente di nuovo sul fronte occidentale), una sorta di thriller vaticanesco dove interpreta una suora con modi pratici e risoluti da suora, ecco arrivare anche una candidatura ai Golden Globe come migliore attrice non protagonista, anticamera di una possibile nomination all’Oscar.
Un passo indietro per i più distratti. C’era una volta Ingrid Bergman, una grande diva del cinema arrivata dalla gelida Svezia che, dopo aver conquistato Hollywood, all’apice del successo, decide di abbandonare la sua gabbia dorata per correre tra le braccia di un regista italiano che dall’altra parte del mondo stava rivoluzionando la storia del cinema, un tipo squattrinato pieno di debiti, Roberto Rossellini. Lei vede Roma Città Aperta e Paisà, se ne innamora e gli scrive una lettera in cui gli chiede di poter lavorare assieme. Nascono così un grande scandalo, cinque film e tre figli: Roberto Jr. e due gemelle, Isotta Ingrid e Isabella.
Con una famiglia simile, racconta Isabella Rossellini in Qualcosa di me, la sua autobiografia del 1997, «gli interrogativi che suscito vanno da “che effetto fa essere figlia di persone famose?” a “ma quelle creme che reclamizzi funzionano davvero? Fanno davvero ringiovanire?”, oppure “ti innamori sempre di registi – Martin Scorsese, David Lynch – chissà chi sarà il prossimo. Hai forse dei problemi con la figura paterna?”, o ancora “perché hai adottato un bambino? Non potevi sposarti e avere figli come fanno tutti gli altri?”». Lei però non ha mai fatto come tutti gli altri. Il vero stile? «È fare quello che ti pare». Cosa penseranno gli altri? Cosa dirà la gente? «Si fottano», le ha suggerito Gary Oldman, lei ne ha fatto uno dei suoi motti.
Da bambina, a scuola, chiede alle sue compagne di classe se sua mamma è famosa come Joan Crawford, come Greta Garbo. Di più?, di meno? Ha bisogno di capire. Per lei, semplicemente, suo papà è suo papà, sua mamma è sua mamma. Roberto Rossellini, ricorda, era un papà chioccia, più madre che padre, la chiama “Sgriofa Bosse”, che in dialetto veneto è il soffiatore di vetro, perché da bambina ha le guance tonde e gonfie. Quando il regista muore lei è ancora troppo giovane per capire il potere dei ricordi, dei sogni e della fantasia, lo acquisisce col tempo. Ingrid Bergman ha sempre amato più di ogni altra cosa al mondo recitare, Isabella vorrebbe essere al primo posto, ma è una gara che non poteva vincere. Le unisce così l’amore per la pulizia della casa, hanno un rituale preciso e rigidissimo (scientifico) per pulire le stoviglie, o come dicono loro per fare “la vaiselle”. Quando Lars Schmidt, il terzo marito di Ingrid Bergman, compra il teatro Montparnasse a Parigi l’attrice si precipita immediatamente ad aiutare la donna delle pulizie. Isabella, dalla madre, oltre al carattere pratico e schietto, ha ereditato questo piacere per la lotta alla polvere, è sempre in cerca di spugne, stracci e strofinacci, in Italia compra battipanni di vimini per battere tappeti e cuscini fuori dalle finestre: «Io provo grande soddisfazione a vedere tutta quella polvere volare via!». Dopo aver perso i genitori inizia a parlare con loro, nella sua fantasia, con dialoghi articolati, voli di fantasia, si lascia rimproverare, consigliare, li interroga. A volte rispondono, a volte no. I vivi, i morti, convivono dentro di lei.
La sua vita è tutta un caos. Il lavoro, l’amore, succedono “cose”, lei le accoglie, le respinge, vive danzando al ritmo di una musica tutta sua, cerca di inseguire lo spirito dei suoi genitori, rincorrendo la loro allegria e il loro senso per l’avventura. Si innamora di Luciano De Crescenzo, sposa Martin Scorsese ma lo lascia per un modello, poi inizia una storia d’amore e d’arte con David Lynch, per lui incarna alcuni ruoli memorabili sul grande schermo, lui le regala un pannello con delle api trovate morte, ognuna battezzata con un nome proprio (Chris, Eric, Joe, Ralph…), un omaggio al suo amore per gli animali. Da giovane vuole fare la giornalista, ma nel ’79 prende parte al suo primo film, Il prato, dei fratelli Taviani. Non ha ambizioni attoriali (non mette lo zampino in nessuna delle pellicole di Scorsese durante il loro matrimonio), ma la stima per i due registi la convince, il film si rivela un flop, e quella sembra una storia chiusa lì. Al cinema preferisce la tv, partecipa a L’altra domenica con Renzo Arbore, lei da New York gira reportage per strada che trasmettono durante la trasmissione.
Diventa modella per caso: Frances Grill, una sua amica, ha un’agenzia per modelli, ma ha intenzione di iniziare a rappresentare anche modelle (che hanno un mercato più redditizio di quello maschile) e le chiede il piacere di lavorare per lei. Bruce Weber e Bill King la notano, le scattano delle foto e lei finisce sulle cover di Vogue, i compensi sono astronomici (soprattutto in confronto a quel che passava la Rai). Viene ritratta dai più grandi fotografi di moda del mondo, Richard Avedon, Steven Meisel, Helmut Newton, Peter Lindbergh, Norman Parkinson, Herb Ritts, Francesco Scavullo, Annie Leibovitz e Robert Mapplethorpe. Come lei anche la sua bellezza va controcorrente: ha un dente scheggiato, rotto in una zuffa col fratello, che le lancia un telefono in faccia quando sono bambini. Decide di non farselo sistemare, può star bene così. Nemmeno un anno dopo aver iniziato a lavorare come modella diventa testimonial per Lancôme, il dente glielo ritoccheranno con cera per le pompe funebri. Il contratto di esclusiva è rigoroso, ma lei impone il diritto di poter scegliere i fotografi con cui lavorare; le clausole però sono infinite, niente abbronzatura, messa in piega da concordare, trucco solo Lancôme per qualsiasi occasione, linea impeccabile, niente scandali… Rischia grosso due volte, con Velluto Blu di Lynch e Sex, il libro fotografico di Madonna firmato da Steven Meisel.
Isabella Rossellini al tempo è già diventata mamma, non vuole dare nuovamente un’immagine di sé troppo sessuale: lei e Madonna sono immortalate vestite in ampi completi eleganti da uomo. Sembrate due lesbiche, la rimbrottano i tipi Lancôme. Che male c’è nell’esser lesbica?, chiede lei. Lancôme desiste. È una storia nota, al contempo gloriosa e mortificante: come modella diventa miliardaria, ma dopo 20 anni di onorato servizio ormai è troppo vecchia e l’azienda decide scaricarla, chiedendole di dichiarare di essere lei a volersi ritirare. Devi dire che vuoi dedicare più tempo alla recitazione, le suggeriscono. Che figura ci fai se si sapesse che ti vogliono licenziare?, cercano di farla ragionare (a modo loro), ma lei non cede: dite che non mi volete più perché sono vecchia. Così succede. La chiameranno di nuovo nel 2016, per promuovere la bellezza della terza età.
Sul grande schermo passa dal cinema autoriale nevrotico e disturbante di David Lynch (in Cuore selvaggio, per dare corpo e forma al suo personaggio, Perdita Durango, si ispira a Frida Kahlo) alla commedia grottesca di Robert Zemeckis (La morte ti fa bella), la critica la snobba. Alla boa dei 40 anni cinema e moda iniziano a non cercarla più. Lei procede guidata dal caos, nel 2003 è sia Katya Derevko, colonnello dell’intelligence russa per la serie tv Alias di J. J. Abrams, quando recitare per il piccolo schermo era ancora una cosa brutta di serie B, che Lady Helen Port-Huntley, baronessa della birra protagonista del film La canzone più triste del mondo a firma dello spericolato e intellettuale cineasta canadese Guy Maddin – con cui torna a lavorare anche nel 2011 in Keyhole.
Alto, basso, autorialità, intrattenimento, lei non fa distinzioni; è convinta che il matrimonio tra i suoi genitori sia finito perché in fondo, nonostante la stima reciproca, Roberto Rossellini non ha sempre rispettato le scelte di Ingrid Bergman, che al di là del loro lavoro assieme (forse mai capito e apprezzato fino in fondo) ha sempre continuato ad amare il cinema hollywoodiano, che lui al contrario disprezzava. Col passare degli anni Isabella Rossellini sembra essere stata in grado di liberarsi di molte zavorre (metaforiche e non): ama conservare lettere, fotografie, cimeli, ma non si può preservare tutto per l’eternità, anche la sua parrucca di Velluto Blu, conservata con cura per tanti anni, a un certo punto è finita – seppur a malincuore – nella spazzatura dopo che un gattino adottato al canile municipale ci ha fatto la cacca sopra. «Arrivano le rughe, ingrassi e perdi un certo tipo di bellezza – racconta in un’intervista al Guardian – Ma nessuno parla mai della libertà che arriva con tutto questo. Più che libertà, una sorta leggerezza. Quando sei giovane hai così tante cose da dimostrare. Devi dimostrare di essere intelligente, indipendente economicamente, di essere un buon genitore. Ci sono così tanti obblighi. Ma quando sei vecchio… non devi più dimostrare nulla. Inizi a dirti: se non faccio ora quello che voglio fare, non lo farò mai. E la vita diventa più divertente».