Il film, presentato alla Festa del cinema di Roma, esce il 30 novembre e racconta una storia vera di sfruttamento e ingiustizie
@bimdistribuzione//Instagram
Le prime volte sono sempre ricche di trepidazione e meraviglia. E non fa eccezione il debutto alla regia di Michele Riondino, con il film Palazzina LAF, nelle sale italiane dal 30 novembre dopo la première alla Festa del cinema di Roma.
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L’attore de Il giovane Montalbano ha scelto di cominciare la carriera dietro la macchina da presa con un tema a lui familiare, personalissimo, tratto dalla storia vera dei lavoratori dell’Ilva di Taranto. La sua famiglia, infatti, è composta da parecchi ex operai dello stabilimento, a partire dal papà.
Il focus della storia è proprio il luogo che presta il nome al titolo, Palazzina LAF, un luogo dove venivano confinati i lavoratori scomodi, coinvolti nel sindacato o nelle lotte per diritti più equi. Dall’esterno l’edificio veniva considerato come una destinazione di vacanza per i lavativi, ma la verità è venuta a galla solo di recente.
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Per se stesso Michele Riondino si è ritagliato il ruolo di protagonista, Caterino, mentre l’antagonista Giancarlo è interpretato da Elio Germano. I due, che sono considerati la punta di diamante tra gli artisti italiani della loro generazione, iniziano una sorta di rapporto di odio-amore, o meglio di interesse reciproco che camuffa risentimento e rabbia. Sulla carta Caterino fa la spia su quello che succede in fabbrica, ma ci sono momenti in cui si rende conto di quanto in basso si possa scendere con i compromessi pur di sopravvivere.
Questo piccolo gioiellino dipinge un’Italia di provincia che forse sta scomparendo ma denuncia anche le disparità e le ingiustizie. Per non parlare dei pericoli che ancora oggi si trovano ad affrontare i lavoratori dei cantieri o delle industrie. Riondino dipinge un affresco di un’umanità e di una disumanità disarmante, mette quasi uno specchio davanti allo spettatore e lo interroga sui confini che si possono oltrepassare per tirare a campare.
Chi ha sentito parlare almeno una volta lui o Germano sa bene che entrambi sono attivisti, impegnati in varie cause sociali, convinti che la settima arte non sia solo intrattenimento. Odiano essere chiamati “attori seri” ma la verità è che la loro è una voce potentissima verso il cambiamento e questo film ne è la dimostrazione perfetta.