Pierfrancesco Favino: dal sogno di lavorare con Nolan al provino per Oppenheimer, e il suo pensiero sullo straniero

Una bella favola per il Natale in arrivo. Napoli – New York è il nuovo film di Gabriele Salvatores con Pierfrancesco Favino. Ospite nella redazione di Fanpage.it, il noto attore affronta i temi di immigrazione e paura dello straniero, che “è uno strumento di isolamento”. Nel cassetto ancora un sogno: “Lavorare con Christopher Nolan. Ho fatto anche il provino per Oppenheimer, non mi hanno preso”.
A cura di Eleonora D’Amore
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Una bella favola per il Natale in arrivo. Napoli – New York è il nuovo film di Gabriele Salvatores con Pierfrancesco Favino. Ospite nella redazione di Fanpage.it, il noto attore affronta i temi di immigrazione e paura dello straniero, che “è uno strumento di isolamento”, poi ha aggiunto: “credo che gli italiani sentano profondamente questa cosa e che faccia parte dell’italianità l’idea dell’accoglienza, forse proprio perché sappiamo che cosa è stato andare via dal proprio Paese”.

Amatissimo nei ruoli drammatici, non tradisce l’aspettativa su una cifra ironica anche in questo film, perché in fondo ammette: “Ho sempre pensato che avrei fatto l’attore comico, sono poche cose le cose che ti danno così soddisfazione come far ridere le persone”. Una carriera costellata di successi e numerosi riconoscimenti, ma c’è ancora un sogno: “Lavorare con Christopher Nolan. Ho fatto anche il provino per Oppenheimer, non mi hanno preso. Ma infatti il film non ha funzionato tanto (ride, ndr)”.

Napoli – New York, una bella favola per tutta la famiglia e in un momento in cui mi sa che ne abbiamo proprio bisogno.

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Penso che sia proprio così, che sia uno di quei film da cui esci che ti senti un po’ rincuorato, quelli che ti fanno sognare, che esci e dici, ma sì dai, la vita è bella.

Domenico Garofalo impersona i sentimenti di accoglienza e solidarietà di cui oggi, come allora, si sente estremamente bisogno, non credi?

Sì, da una parte sono contento che sia una favola, dall’altra mi piacerebbe che questa favola diventasse un po’ più realtà. C’è anche uno spirito italiano accogliente, capace di essere solidale quando ce n’è bisogno.

I bambini Carmine e Celestina ci riportano a una dimensione di autenticità, ma anche di resistenza alle difficoltà con tanti espedienti, non sempre leciti. L’infanzia piegata al ‘tirare a campare’, rubando o imbrogliando se serve, è il grande fallimento degli adulti?

Beh, uno dei temi del film è il fatto che questi ragazzi vogliono crescere come vogliono loro. Ci sono questi adulti che li aiutano, che però vorrebbero fargli condurre la vita che hanno scelto per loro stessi. E invece no, loro hanno la famosa cazzimma di due piccoli adulti, probabilmente diventati anzitempo adulti, nel voler essere ciò che vogliono. E non c’è, secondo me in questo momento il miglior messaggio che si può dare ai ragazzi.

Com’è stato lavorare a questo film in un clima politico ancora così ostile al concetto di straniero?

È un film sulla solidarietà umana, in questo senso. È chiaro che non si può aiutare qualcuno se non si ha il coraggio di conoscerlo, fino a poterlo amare. Mi fa solo paura suonare retorico, ma se c’è un un pregio delle pagine di Fellini e di Pinelli è che nello scrivere questo soggetto non hanno usato nessun tipo di ideologia. Per paradosso non c’è nel film un antagonista che crea questa condizione.

E chi è il vero antagonista?

L’antagonista è la condizione umana di povertà. Non c’è mai un nemico reale che li mette in quella condizione. Oggi ho la sensazione che nel nostro dialogare, o meglio nel nostro dibattere continuo, già nella nostra testa ci sia sempre l’antagonista. Questo è un film che preferisce esprimersi a favore e mai contro.

C’è anche il tema degli abusi domestici e dei movimenti femministi come atto di ribellione. In Italia, Il ministro Valditara è finito al centro del dibattito pubblico per aver incolpato i migranti dell’aumento della violenza di genere. In modo del tutto immotivato, dati alla mano, come ha sottolineato anche il padre di Giulia Cecchettin. Non se ne esce.

Assolutamente, penso che sarebbe bello se questo film venisse proiettato nelle scuole. Visto che le parole che stai citando tu sono del Ministro della Pubblica Istruzione, forse si potrebbe far vedere che nella nostra storia siamo stati noi quelli additati, a volte in maniera ingiusta. La prima condannata a morte donna negli Stati Uniti fu proprio un’italiana. Sono felice del fatto che ci sia anche una riflessione nel “merito” di questo, visto che il Ministero adesso si chiama anche “del merito”.

E, parlando di un ponte Napoli – New York, non è che in America se la stiano passando meglio. È stato rieletto Trump che in piena campagna elettorale ha detto addirittura che i migranti mangiavano gli animali domestici…

È un andamento globale, la paura come strumento di controllo è una dinamica che va avanti da 35/40 anni a questa parte. C’è sempre qualcosa di nuovo che genera paura e la paura è uno strumento di isolamento. Credo anche, o forse ci voglio credere, che gli italiani sentano profondamente questa cosa e che faccia parte dell’italianità l’idea dell’accoglienza, forse proprio perché sappiamo che cosa è stato andare via dal proprio Paese.

Celestina, in una scena molto toccante del film, recita un antico detto napoletano: “Non sei straniero, sei solo povero. Se fossi ricco, non saresti straniero in nessun luogo”. La povertà è tra le discriminazioni più feroci?

Assolutamente sì. Ed è anche una delle ragioni principali di migrazione. L’immagine di un mondo sempre più figo, sempre più ricco, che colpisce anche la piccola borghesia, che pur di apparire così, si indebita. Perché non dovrebbe essere tale nei Paesi che sognano l’America come questi due bambini? In questo momento storico, noi siamo quel sogno lì, quindi o si ragiona nei termini di condivisione di questo benessere, oppure non si farà mai un salto.

Il film ha anche una spiccata cifra ironica. In generale, mi sembra che proprio l’ironia ti muova spesso nel mondo.

Sì, ma anche nei personaggi drammatici mi muove l’ironia. Ho sempre pensato che avrei fatto l’attore comico. Quando sono andato a fare l’esame in Accademia, ho portato dei pezzi comici, poi mi hanno fatto leggere Romeo e Giulietta e io li ho guardati e ho detto: ‘Scusate, ma che c’entro io?’.

Un bel fraintendimento.

Se ho deciso di essere attore, lo devo ad attori come Totò e Troisi…A me piace un sacco ridere e anche, possibilmente, far ridere. Sono poche le cose che ti danno così soddisfazione come far ridere le persone.

Un’altra caratteristica che ti si riconosce sui social è quella della tua capacità linguistica. Quello che si chiedono nello specifico è: ma quante lingue parla Favino e soprattutto come ha sviluppato questo perfetto accento british?

Sono nato così. Molto spesso i miei genitori mi portavano in vacanza in posti diversi, allora io per fare amicizia parlavo come i locali.

Quindi l’accento british l’hai sviluppato a Londra?

A Londra sì, dove sono stato a 11 anni e sono tornato spesso, anche per un’intera estate, dedicandomi all’ascolto della musica e a cercare di capire meglio. Sono proprio più inglese che americano (ride, ndr)

 

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